Sono passati ormai vent'anni dall'apertura della via *Issalada 'e purpos* (350 m, 7b max, 6b+ obbl.) sulla grande parete conosciuta tra gli arrampicatori come Oronnoro ma indentificata dai locals con il nome del bosco sottostante, ovvero Esuili. Dettagli toponomastici a parte, questa è una delle pareti più spettacolari lungo la scogliera tra Cala Sisine e Cala Golorizé, sulla costa orientale della Sardegna.
L'esplorazione verticale qui iniziò nella seconda metà degli anni '90 con l'apertura di due itinerari classici (trad): nel 1996 Maristella Manca e Luigi Scema completarono *Stella di prima luna* nella parte destra e l'anno successivo Oskar Brambilla e Alessandro Gogna salirono l'evidente diedro centrale, appena a destra della parte più strapiombante, battezzandolo *Cani e porci*. Fin qui tanto alpinismo e poca arrampicata sportiva. I fix iniziarono a comparire solo nel 2002 su *Evinrude* per mano di Andrea Calvo, Luca Giovanardi, Lorenzo Nadali e Antonio Tabanelli; si tratta di un itinerario piacevole e omogeneo che corre lungo la direttiva del diedro di *Cani e porci*. Successivamente, L. Nadali, innamorato del luogo particolarmente selvaggio, lo elesse a dimora-vacanze per gli anni a venire. Coinvolgendo pochi fidati compagni, tracciò una serie di linee che possono essere annoverate tra le più estetiche dell'isola. In particolare, tra il 2005 e il 2008 assicurò uno scatenato Pierino dal Prà su itinerari come *Ginepri al vento* e *Orronnauti*, dove venne raggiunto un livello massimo rispettivamente di 8a+ e 8b+ con sezioni obbligatorie di difficoltà imprecisata ma sicuramente non per tutti.
Tra i suddetti pochi fidati amici di Lorenzo Nadali c'è anche Anna Torretta, con cui arrampicavo spesso proprio in quegli anni. Nell'autunno 2004, insieme a lei, ci lanciammo nell'apertura di due vie in Valle dell'Orco, sulla parete dell'Acqua Chiara. Forti di quell'esperienza, il desiderio di provare a fare lo stesso su un tipo di roccia differente si fece strada ed è proprio in quel momento che ad Anna venne l'idea di propormi una parete allora "segreta" nel profondo Supramonte di Baunei, gentilmente messa a disposizione dal suo caro amico Lorenzo. Invito valido solo con la clausola di non toccare la strapiombante parte centrale dell'anfiteatro, dove sarebbero poi nate le difficilissime vie di Dal Prà. Detto, fatto. Ci presentammo quindi al porto di Genova dove acquistammo sul posto il biglietto (allora si poteva!) e ci imbarcammo con l'automobile carica di trapano e fix. La fitta rete di conoscenze di Anna ci permise di alloggiare a Cala Gonone nella casa di Enzo Lecis, messa gentilmente a disposizione di arrampicatori di tutta Europa. In quell'occasione conobbi anche lo svizzero Markus Stofer, che proprio pochi mesi prima aveva effettuato la prima salita in libera di *No Siesta* sulla parete Nord delle Grandes Jorasses insieme a Robert Jasper. Sempre grazie ad Anna riuscimmo a farci traghettare via mare fin sotto la verticale della parete da Gaetano Mura, celebre velista local. Per la cronaca, il nome scelto per la via - *Issalada 'e purpos* - fu ispirato da una porzione di insalata di polpo (tradotto in sardo) offerta dalla mamma di Gaetano e trasportata al bivacco installato alla base della parete. Sì, perchè quell'esperienza fu vissuta come una piccola spedizione in un luogo remoto, con tanto di cibo e acqua per quattro giorni e tutto il materiale per dormire, scalare e aprire una nuova via. Scaricato il materiale a riva, lo portammo a più riprese alla base della parete e installammo una sorta di mini campo base.
Un giorno lo dedicammo all'osservazione della parete per individuare una possibile linea di salita e ne approfittammo anche per ripetere *Evinrude* che aveva già buoni feedback dai ripetitori; a questi si aggiunse anche il nostro. La linea che catturò subito la mia attenzione fu una sorta di larga prua, in corrispondenza del punto in cui la parete cambia esposizione, con partenza nel punto più basso. Tutta la prima parte si presentava piuttosto ripida e difficile ma fummo attratti dalla debolezza offerta da un diedro regolare sovrastato da un muro più liscio che rappresentava l'incognita principale. Successivamente la parete si presentava più articolata, sempre compatta ma meno verticale.
Il giorno successivo, pronti, via! Con un lungo tiro nel suddetto diedro rangiungemmo un bel terrazzino alla base del muro. Questo, alla fine, ci impegnò abbastanza ma senza opporre difficoltà impossibili. Le corte giornate di fine ottobre, purtroppo, non ci consentirono di proseguire per cui lasciammo le corde fisse per il prosieguo. Per farla breve, ci volle ancora un giorno e mezzo per sbucare sul bordo superiore della parete con 350 m di via nuova alle spalle. Un po' di stanchezza a causa dell'approccio "pesante", sicuramente un po' di mancanza di esperienza e direi anche una scarsa propensione a fare tutto velocemente per poter godere appieno del contesto ambientale decisamente "fuori dal mondo" hanno influito negativamente sui tempi di progressione. Poco male, in fondo. L'esperienza vissuta fu molto intensa e l'interazione con la natura circostante ancor di più.
Al termine della chiodatura, purtroppo mancò il tempo per salire in libera il secondo tiro per cui decidemmo di lasciarlo ai ripetitori con la certezza che avrebbero gradito. Se ne incaricò qualche anno dopo Simone Sarti che lo liberò confermando la difficoltà ipotizzata attorno al 7b/+.
Per pura soddisfazione personale, tornai poi nell'autunno 2016 con Alessandra per scalare in bello stile anche quel secondo tiro, valutandolo non più di 7b, senza passi estremamente difficili ma piuttosto continuo su tutto lo sviluppo. Il quell'occasione constatai il buono stato di conservazione dei fix originali (inox Raumer), per quanto dall'esterno sia difficile valutarne l'effettiva affidabilità. Mi limitai a sostituire i cordoni delle soste. Con il passare degli anni però riaffiorava periodicamente il pensiero di quanto avrebbero ancora retto, in quell'ambiente marino, proprio quei fix che hanno dato e continuano a dare tanti problemi non solo in Sardegna ma anche in Sicilia, Grecia, ecc.
Ho quindi deciso di approfittare della ricorrenza ventennale per dare nuova vita a questa via a cui sono particolarmente affezionato. In primis perchè la reputo meritevole di ripetizione, almeno secondo un parametro mediamente oggettivo; i pochi ripetitori che conosco hanno tutti confermato. Cercando di mettere da parte un po' di egoismo che vorrebbe conservare questi luoghi come un piccolo tesoro personale, senza condividerli con altri, mi piace pensare che qualcuno possa vivere le nostre stesse avventure, nel totale rispetto dell'ambiente circostante. Credo che chi è interessato a venire qui sia un grande amante della natura e che si comporti come tale lasciando meno tracce possibili del suo passaggio. Sarebbe un peccato rovinare questo quadro bucolico con la macchia della paura costante che qualche fix possa rompersi improvvisamente, sia durante la progressione sia durante la discesa in doppia.
Parlando di dettagli più tecnici, tutti i fix originali (Raumer inox 304) sono stati rimossi e sostituiti da solidi fix M12 x 110 mm MKT BZ Plus abbinati a placchette Vertical Evolution da 4 mm, il tutto inox 316L; catena e anello di calata su tutte le soste. Solo una piccola nota da perfezionista: per un lavoro "perfetto" avrei dovuto utilizzare occhielli resinati che eliminano del tutto il problema dell'allentamento dei dadi sui fix inox. È vero che il 12 mm dà meno problemi del 10 mm ma la possibilità di trovare in futuro qualche punto parzialmente svitato non è da escludere totalmente. Il consiglio è quello di portarsi sempre una chiave (in questo caso da 19 mm, dal peso irrisorio rispetto al materiale che si usa in apertura) per stringere eventualmente i bulloni.
L'idea iniziale di coinvolgere la stessa Anna nel progetto di richiodatura è purtroppo naufragata a causa dei rispettivi impegni; per non rimandare ulteriormente sono riuscito a convincere per l'ennesima volta la paziente Alessandra che si è sobbarcata con me due giornate appesa in parete a picco su uno dei mari più belli del Mediterraneo. Nonostante l'attenuante del contesto ambientale, rimane pur sempre una faticaccia, fatta a titolo del tutto gratuito nella speranza che i ripetitori possano apprezzare e divertirsi.
Il topo aggiornato della via si trova nella sezione relazioni/topos del sito oppure direttamente a questo link: TOPO.
Materiale: corde da 60 m, 12 rinvii, casco.
Esposizione: Sud Est. La parete va in ombra, in autunno, dopo le ore 14.
Avvicinamento: l'accesso in gommone da Cala Gonone è possibile ma tutt'altro che semplice. Nel caso, raggiunta la verticale della parete, salire al meglio verso l'attacco della via, evitando di passare sull'evidente frana che si trova a sinistra (faccia a monte). Circa 30 minuti dal mare, faticoso.
L'accesso a piedi è indubbiamente quello che offre maggiori garanzie; permette inoltre di visitare un piccolo angolo di Supramonte estremamente selvaggio e pittoresco. Esistono due possibilità a piedi; in entrambi i casi occorre recarsi presso il parcheggio autorizzato di Ololbissi, dove è presente un piccolo chiosco ed è possibile anche dormire con tenda/van. Da Baunei, salire in auto sull'altopiano del Golgo e seguire le indicazioni per Cala Sisine: sono 16 km di cui circa 6 su strada sterrata.
Da Ololbissi, la prima opzione prevede la percorrenza del sentiero che conduce in cima a Serra Overa e prosegue verso Punta Plumare. Pochi metri prima di raggiungere l'omonimo cuile abbandonato, dirigersi verso destra e reperire un facile passaggio tra le rocce che permette di imboccare in discesa il canalone di Sa Nurca. Inizialmente largo e poco ripido, questo si stringe e diventa più ghiaioso man mano che si perde quota. Al suo termine, costeggiare tutta la parete verso Nord e scendere ancora fino all'attacco della via, situato quasi nel punto più basso, non lontano dal sentiero dove transita il Selvaggio Blu. Calcolare circa 1.30 ore.
La seconda alternativa a piedi consiste nel seguire il tracciato dell'ultima tappa del trekking Selvaggio Blu classico (Ololbissi – Sisine) che transita a poche decine di metri dall'attacco della via. Il tempo di percorrenza è più o meno simile ma il tracciato risulta un po' più battuto.
Discesa: è possibile scendere in doppia da tutte le soste con due corde da 60 metri. Nella seconda calata è preferibile calare il primo per stendere le corde; la sesta calata invece è un po' obliqua, meglio moschettonare qualche punto in discesa per avvicinarsi alla sosta successiva.
Dalla sommità è comunque più suggestivo e più rapido il rientro a piedi. In questo caso, dirigersi verso Sud Ovest percorrendo in lieve salita una sorta di valletta (qualche ometto) che interseca direttamente il sentiero di Serra Overa. Raggiuntolo, seguirlo verso sinistra con percorso abbastanza evidente. Calcolare circa 1 ora fino a Ololbissi.
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Quando si dice "arrampicare sul mare".
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Autunno 2004: in apertura sul quarto tiro (foto A. Torretta).
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Autunno 2004: durante l'apertura della via (foto A. Torretta).
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Il parcheggio autorizzato di Ololbissi è la base perfetta per andare a scalare a Esuili.
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Alba suggestiva durante l'avvicinamento; peccato solo per gli zaini più pesanti del normale.
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Tipico ometto sardo.
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Lungo la discesa del canalone di Sa Nurca inizia ad aprirsi la vista sulla parete di Esuili.
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Eccola, in tutto il suo splendore: la parete di Esuili o Oronnoro che dir si voglia.
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Primo tiro di *Issalada 'e purpos*; Alessandra sale da prima e io seguo da secondo con trapano e fix nuovi.
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Vista generale sul primo tiro e sul bel muro sovrastante che ospita il secondo tiro.
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Sostituzione della prima sosta.
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Dopo aver richiodato i primi tre tiri e mezzo, saliamo veloci fino in cima.
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Quinto tiro per Alessandra (6c).
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Ora tutte le soste sono così: due fix da 12 mm con catena e anello di calata, inox 316L.
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Per terminare il lavoro, ci caliamo direttamente dall'alto.
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Ambiente suggestivo a picco sul mare.
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Soddisfazione in cima alla via dopo aver terminato la richiodatura completa.
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Autoscatto di rito con la paziente Alessandra prima di rientrare a Ololbissi.
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