Il topo della nuova via. |
S'Orcu, ovvero un colpo di fulmine. Tutto è iniziato nella primavera dell'anno scorso (2016), quando il collega cuneese Alessandro Tato Gogna - incontrato per caso nel Canyon di Ulassai - mi ha proposto di scalare una nuova via di Roberto Vigiani nella Codula di Luna. Qualche giorno dopo, in tre con Alessandra, abbiamo così portato a termine la prima ripetizione di *Una Corona al bacio* (200 m, 7a max, 6c obbl.). L'itinerario corre nella porzione sinistra della parete e si caratterizza per una chiodatura piuttosto essenziale da integrare con protezioni veloci. Eloquente, a tal poposito, il commento del Vigio sulla sua relazione: "il capocordata è bene che domini la difficoltà dichiarata obbligatoria!". Non è terrorismo psicologico, è la realtà.
Il luogo e la parete mi avevano colpito, tanto da voler rivivere la bella esperienza sulla via più a destra, aperta nel 2005 da un trio d'eccezione: Rolando Larcher, Maurizio Oviglia e Simone Sarti. Nell'autunno del 2016, sempre con Alessandra, abbiamo quindi effettuato una delle rare ripetizioni di *Nuvolari* (240 m, 7a+ max, 6c+ obbl.). Si tratta di un bell'itinerario, chiodato ovviamente in maniera rarefatta, omogeneo e vario: placche, muri, strapiombi, c'è di tutto.
Tra le due vie rimaneva un corridoio largo un'ottantina di metri di roccia ottima: muri grigi a gocce nella parte bassa e canne strapiombanti nella parte alta. È proprio l'evidente canna situata a metà parete ad aver ispirato fantasie su una possibile via nuova. Dopo aver scrutato attentamente con il binocolo la parete alla ricerca dei passaggi più logici, a maggio di quest'anno ero motivato per aprire una via dal basso con il trapano, cosa che non facevo ormai da più di sei anni. Tra scalare e chiodare, è indubbiamente più divertente e meno faticosa la prima opzione ma ogni tanto è interessante mettersi in gioco per provare a creare qualche bella linea per i futuri ripetitori. La Sardegna offre l'innegabile vantaggio di avere ancora tanto spazio vergine e soprattutto di qualità! Se poi si aggiunge la possibilità di trascorrere intere giornate in luoghi selvaggi, senza anima viva e senza copertura telefonica... l'avventura è assicurata. La scelta del compagno non poteva che ricadere su Tato; ci tenevo a condividere l'esperienza con colui che mi aveva fatto conoscere la parete. Sapevo inoltre che aveva aperto in passato vie di tutto rispetto insieme a Lorenzo Nadali & co. ed ero sicuro che avrei imparato qualcosa in più; scalare con compagni (fidàti) non abituali arrichisce sempre. E così è stato.
A maggio di quest'anno abbiamo quindi iniziato a salire la prima metà della parete (4 tiri), constatandone bellezza e difficoltà. Le giornate iniziavano ad essere troppo calde per cui ci siamo dati appuntamento in autunno, con la consapevolezza che il risultato finale sarebbe stato di qualità.
A ottobre sono quindi tornato con Alessandra (Tato, inizialmente, era impegnato) per continuare la via. Abbiamo salito il quinto e il sesto tiro, per poter tornare agevolmente - seppur con una bella doppia molto aerea - sulla linea delle calate della parte bassa. La quinta lunghezza in particolare, si è rivelata la più difficile: 30 metri di lunghezza per più di 10 metri di strapiombo con tre sezioni molto intense separate da due riposi totali all'interno di suggestive "nicchie panoramiche".
Restavano ancora da aprire gli ultimi 30/40 metri per sbucare sulla sommità e ci tenevo che fosse Tato a farlo, del resto toccava a lui.
Nel frattempo ne ho approfittato per scalare in libera i tiri precedentementi aperti. Per i primi quattro non ci sono stati grossi problemi ma il quinto sapevo che avrebbe richiesto sforzi più importanti, ragion per cui ho sguinzagliato lo scatenato Michele Amadio, particolarmente motivato quando si tratta di effettuare prime salite in libera. Dopo una lotta tenace, per il dolore alla pelle delle dita (roccia super aggressiva) oltre che per la forza richiesta, è riuscito a risolvere il rebus del terzultimo fix: un passo tecnicissimo su prese microscopiche che si tengono solo con un sapiente utilizzo dei piedi ("se ti metti bene non le tiri neanche tanto" cit. giovarav).
Il grado? Diciamo intorno al 7c+ ma siamo aperti ad eventuali ritocchi.
Fortunatamente, all'ultimo minuto Tato è riuscito a liberarsi per raggiungermi poco prima che terminassi le vacanze. La mattina stessa in cui è sbarcato a Olbia, siamo andati direttamente in parete. L'onore di concludere l'opera è stato chiaramente suo. Velocissimo come al solito, ha liquidato il settimo tiro con pochi fix (uno è stato aggiunto in discesa).
*Aftermath* è ora terminata e pronta per essere salita. Noi ci abbiamo messo del nostro meglio, chiodandola in maniera sicura con materiale di qualità posizionato a distanza "ragionevole". Tra le vie presenti sulla parete è sicuramente quella meno stressante psicologicamente; è vero che presenta un obbligatorio superiore ma a poca distanza dall'ultima protezione. Trovate tutte le info sul topo allegato.
Considerazioni tecniche a parte, si tratta di una via molto bella per amanti del genere multipitch sportivo, particolarmente omogenea tra il 7a e il 7b, con un tiro più difficile (7c+) ma lavorabile in stile falesia (si parte da una cengia/grotta super confortevole).
Se qualcuno si domandasse l'origine del nome, la risposta è un po' complessa e sicuramente non di interesse pubblico. Mi limito pertanto a dire che è anche il titolo di un album-cult dei Rolling Stones (pubblicato nel 1966) e più recentemente un brano dei Muse.
Buona scalata e buon divertimento!
Materiale: la via è interamente attrezzata con tasselli inox A4 M10 x 90 mm MKT BZ Plus e placchette inox A4 Raumer; anello di calata alle soste.
Corde da 60 metri (singola + recupero o due mezze) e 12 rinvii sono sufficienti.
Considerata la roccia particolarmente tagliente in alcuni tratti, è consigliabile scalare con corde in buono stato (meglio se di tipo Unicore).
Esposizione: Nord-Ovest, sole nel pomeriggio.
Avvicinamento: dal chilometro 172 della SS125 ("Orientale Sarda"), seguire le indicazioni per Teletottes e scendere nella Codula di Luna fino al termine della strada asfaltata. Da qui, seguire il sentiero pianeggiante che percorre il lato destro idrografico del corso d'acqua per circa 20 minuti. Dopo un caratteristico passaggio all'interno di una grotta, una breve risalita e la successiva discesa, abbandonare il sentiero principale e iniziare a salire in diagonale verso la parete soprastante seguendo una vaga traccia. 30 minuti da Teletottes.
Discesa: in doppia lungo la via, come indicato sul topo (utilizzando S7, S6, S4, S2).