La stagione estiva 2020 è stata anomala sotto tanti aspetti, compresa l'assenza quasi totale di eventi agonistici. A dire il vero, le varie federazioni sportive si sono prodigate per redigere linee guida anti-coronavirus che però prevedono forzatamente una limitazione dell'aspetto principali nelle competizioni: il social-time. Ora più che mai ci si è accorti che la classifica è la colonna portante delle gare ma i momenti pre e post competizione sono forse quelli che tutti apprezzano di più.
Detto questo, atleti di ogni livello e di ogni sport si sono riciclati in prove più personali: sfide con se stessi oppure con i cosiddetti FKT (fastest known time), termine che per la maggior parte della gente - compreso il sottoscritto - era sconosciuto fino a questa estate.
Ispirato dagli atleti professionisti della corsa in montagna che si sono scatenati sulle cime di 4000 metri, ho voluto provare anch'io a cimentarmi nella classica salita al Gran Paradiso, cercando di impiegare meno tempo possibile. Il tutto però in completa solitudine e senza alcuna assistenza esterna, cosa che invece non accade generalmente in occasione di ricerca assoluta di un record da parte di un pro. Dettagli, indubbiamente, che però rendono le prestazioni non paragonabili tra loro. Come detto prima, alla fine la sfida è con se stessi e con il cronometro, per il puro piacere di farlo. Anche perchè, nel mio caso, quasi alla soglia dei 50 anni, pensare di mettersi in competizione con i big mondiali della specialità appare quanto meno ridicolo!
In una salita come quella del Gran Paradiso da Pont i fattori (oggettivi) determinanti per impiegare meno tempo possibile sono essenzialmente tre: il percorso, le condizioni dello stesso e il meteo. Per quanto riguarda il primo, l'esperienza dei record (Bertoglio, Champretavy e Maguet) ha mostrato che quello più veloce passa lungo una linea più o meno retta dal ponte di Pont verso la vetta del Gran Paradiso. Non si tratta di un sentiero ma di terreno "da cacciatori": vegetazione rada, cespugli, pietraia, prati e qualche breve tratto di arrampicata. Non si riesce a fare ritmo ma è molto diretto; l'alternativa sul sentiero del rifugio Vittorio Emanuele II presenta uno sviluppo di circa 20% in più. Il secondo fattore è legato alle condizioni, soprattutto della parte alta su ghiacciaio. Più si riesce a trovare una traccia regolare, ben battuta e redditizia, più si riesce a limare il tempo. Nel mio caso, purtroppo non sono riuscito a trovare l'optimum in quanto ho preferito dare più importanza al meteo. Impegni vari non mi hanno consentito di trovare la perfetta combinazione dei tre fattori. Le condizioni meteorologiche infine giocano senz'altro un ruolo determinante; assenza di vento e temperature corrette (rigelo notturno) sono i fattori che tutti vorrebbero trovare sopra i 4000 metri.
Le considerazioni invece che riguardano la sfera soggettiva e tutto quello che riguarda il cosiddetto "fattore umano" sono più complesse. Procedere slegati su un ghiacciaio è quanto di più sbagliato si possa fare in termini di sicurezza. Il fatto poi di procedere al limite delle proprie capacità costituisce un'aggravante mica da poco. In queste condizioni, con il cronometro che scandisce il tempo, è difficile essere lucidi per prendere decisioni importanti, non da ultimo la rinuncia. Sono semplici considerazioni più da "guida alpina" che da "atleta". Perchè farlo, allora? Le motivazioni sono comprensibilmente personali; ognuno si pone obiettivi differenti e nel mio caso è stato semplicemente il "piacere" di mettersi in gioco, al meglio delle possibilità del momento, in una attività che non svolgo in maniera costante e metodica. Per quanto riguarda invece il discorso "sicurezza", la scelta di procedere da solo su un ghiacciaio è più che ponderata dall'esperienza, ben sapendo che su uno dei due piatti della bilancia c'è anche un'incognita chiamata volgarmente sfortuna anche se sarebbe più corretto chiamarla overconfidence. Chiaramente in queste situazioni si cerca di mettere sull'altro piatto molto di più, affinchè il primo sia più leggero possibile. Semplici considerazioni che non hanno la pretesa di essere condivise.
Per quanto riguarda invece il mio tempo impiegato per salire dal piazzale di Pont fino alla Madonna del Gran Paradiso, non sono riuscito a fare meglio di 1.51 minuti (vedi traccia GPS caricata su Strava). In tutta onestà, paragonando i tempi su altri terreni, speravo in qualche minuto meno. Probabilmente con una preparazione più meticolosa del percorso avrei potuto limare qualcosa ma i tempi non si fanno con i "se" e con i "ma" (e neppure fermando il cronometro durante le pause), quindi mi accontento di questo risultato che - comunque - non credo che sia da buttare via.
Purtroppo non ho foto, neppure di vetta, a causa della perdita del cellulare nella prima parte del percorso; ritrovato al ritorno in mezzo all'erba grazie al sensore bluetooth dello sportwatch... miracoli della tecnologia!
Il materiale utilizzato, oltre alla maglia (MONTURA Seamless Warm Maglia) e ai pantaloni (MONTURA Run Pants), è stato il seguente:
. scarpe SCARPA Spin Ultra;
. ramponcini antiscivolo CAMP Ice Master Light;
. bastoncini MASTERS Sassolungo Carbon;
. guanti CAMP G-Comp Evo;
. cintura MONTURA Trail Function Belt;
. 1 gel ENERVIT;
. 1 fascia MONTURA Light Pro Band;
. 1 fascia leggera CAMP;
. 1 fascia multiuso (tipo Buff) CAMP;
. 1 paio di occhiali SALICE 012;
. 1 giacca leggera MONTURA Zero 119 Jacket.
Il materiale utilizzato, oltre alla maglia e ai pantaloni indossati. |