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Vista dall'alto sulla parte alta della via, con lo sfondo dei Laghi delle Laures.
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La parete Est del Mont Emilius è ben visibile dal fondovalle, triangolare e ripida, soprattutto al mattino quando è illuminata dai raggi del sole. Come il Monte Cervino e la Grivola, appartiene però a quelle montagne che sono più belle da lontano che da vicino. Va subito detto che la roccia non è delle migliori. E non è una novità, almeno per coloro che hanno letto un po' di letteratura specifica.
Questa parete è conosciuta nell'ambito alpinistico internazionale per essere stata teatro della salita che ha fatto sfumare la "prima" della parete Nord delle Grandes Jorasses a Giusto Gervasutti e Renato Chabod. Era il 1935 e questi ultimi erano in corsa, insieme ad altri, per la prima salita della celebre parete nord nel Massiccio del Monte Bianco. Come "allenamento" avevano puntato alla prima salita della parete Est del Mont Emilius, attorno alla quale aleggiava un'aura tragica e misteriosa dopo l'incidente mortale che aveva coinvolto i giovani fratelli Dino e Jean Charrey e Cino Norat nel 1929. Dopo questa salita, Gervasutti e Chabod si erano diretti verso il rifugio Leschaux, apprendendo purtroppo che i tedeschi Meier e Peters erano in parete. Gervasutti aveva poi convinto il riluttante Chabod ad effettuare la seconda salita della parete Nord delle Grandes Jorasses, lungo la via appena aperta dai tedeschi ovvero lo Sperone Croz. E così hanno fatto, insieme agli svizzeri Raymond Lambert e Loulou Boulaz (prima donna sulla parete), portando a termine un'avventura rocambolesca ben raccontata da Enrico Camanni nella biografia di Gervasutti dal titolo "Il desiderio di infinito".
Tornando alla qualità della roccia sulla parete Est del Mont Emilius, leggendo attentamente le vecchie relazioni non si fa mistero su detriti, porzioni instabili, tratti delicati e amenità simili. Difficile pensare a sezioni più sane per arrampicare con maggiori margini di sicurezza, anche ricorrendo all'utilizzo di fix. Eppure l'anno scorso gli alpini (e guide alpine) S. Cordaro, L. Di Franceso e V. Stella hanno tracciato un itinerario "moderno" e diretto con soste attrezzate e qualche fix (pochi) sui tiri. La via è stata chiamata *Giordi* (500 m, TD+, 6b+ max, 6a obbl.) per ricordare il collega degli apritori Maurizio Giordano, scomparso nel 2018 in una spedizione al Gasherbrum IV.
La curiosità di andare a vedere da vicino questa parete si è quindi riaccesa e insieme a Roger B., Niccolò B. e Andrea B. siamo andati toccare con mano. Impressioni: complimenti agli apritori per l'impegno e la costanza nell'ingaggiarsi a più riprese in un terreno simile, non proprio privo di pericoli oggettivi... ma non mi sento di consigliare una visita se non agli amanti del genere e con una buona dose di esperienza su terreno che definire delicato sarebbe un eufemismo. Alcune lunghezze hanno trasmesso la netta sensazione di arrampicare su materiale "attivo", come testimoniano alcuni importanti segni di impatto recente e crolli piuttosto freschi. Qualche rara lunghezza "carina" si trova ma nel complesso bisogna prestare estrema attenzione a come ci si muove, senza contare la possibilità di scariche dall'alto provocate da animali selvatici in movimento come successo a noi per circa 5 minuti tutt'altro che rilassanti.
Per il resto, il luogo è magico, impreziosito da un punto d'appoggio come il bivacco Ménabréaz - fiore all'occhiello della appassionata comunità di Brissogne - costruito in riva ad uno dei laghi alpini più belli della Valle d'Aosta.
Materiale: due corde da 60 m, 8 rinvii, 1 set completo di friends fino al #2 C4 BD, martello e una piccola scelta di chiodi, casco, ramponi per il breve nevaio iniziale.
Esposizione: Est, sole al mattino.
Avvicinamento: in circa un'ora dal bivacco Ménabréaz alle Laures.
Discesa: lungo la via normale (sentiero). È possibile rientrare ai laghi di Laures oppure a Pila; in quest'ultimo caso, si scende meno a piedi (seggiovia Chamolé e telecabina fino ad Aosta) ma occorre tornare a prendere l'auto nel Vallone di Laures.
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